AMMISSIONE DI COLPEVOLEZZA

di Luigi Mauro

Su questa bici, non ci vuole risalire. Rinuncia. Lance Armstrong mai aveva mollato così, anzi. Ha rinunciato a difendersi dalle accuse di doping che gli venivano mosse. Il sette volte re del Tour de France, d’imporvviso si è visto detronizzato. Zero vittorie e squalifica a vita.
Solitamente lui era l’emblema di chi, dopo una caduta, rimontava sulla sella e via a pedalare per dimostrare d’essere il più forte, nonostante la sfortuna. Quante volte glielo avevamo visto fare? Non solo nelle competizioni sportive, ma anche nella vita. Non mollava lui, né quando si trattava di inseguire lo storico rivale Ulrich sui tracciati transalpini, né quando il nemico da sconfiggere non apparteneva a nessun team se non a quello della morte: quel tumore maledetto che così tanto lo condizionò e altrettanto lo rese leggenda per sempre.
Ci aveva abituati bene, forse troppo. Stavolta niente combattimento. Troppo stanco, troppo stufo di combattere contro una giustizia sportiva a suo avviso persecutoria. Ed è per questo suo improvviso cambiamento che sorgono spontanei i dubbi.
E’ vero, infatti, che questa giustizia sportiva è davvero piena di storture. Come è vero che le accuse che gli sono state mosse, mai sono state provate. Ed allora: perché rinunciare a difendere il proprio nome? Perché lasciarsi depredare di vittorie memorabili? Perché gettare la spugna davanti ad un problema neppure comparabile con quelli affrontati nel passato?
Le risposte possono essere molte. Tanti adulatori e ammiratori dicono: non voleva darla vinta ai suoi accusatori, prestandosi a fare la pedina in un gioco già deciso e scritto.
Sarà. Tuttavia, una risposta parimenti plausibile è la più maligna, cioè una sua ammissione di colpa riguardo alle terribili accuse di doping.
“A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”, diceva Andreotti.

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